Primo Episodio
L’incontro
Racconta Alexis: sono uscito dalla Siepe, sapevo che sarebbe stata dura ma non pensavo così, sono a pezzi, ho ferite ovunque, mi guardo intorno, mi pare di essere a Torino, sono dunque arrivato nella mia città natale?
E’ notte, il tempo è grigio, banchi di nebbia ovunque, l’aria è sporca, le strade sono peggio, la pioggia è unta e pesante.
Questo è il prezzo della libertà?
Sono troppo stanco in questo momento per farmi questo genere di domande. Attraverso la strada per allontanarmi dall’accesso alla siepe. Trovo dei portici e la testa mi gira, sono costretto ad appoggiarmi al muro.
I ricordi, troppi ricordi, mi assalgono tutti insieme, sono TORNATO!
Mi accascio stringendomi le ginocchia tra le braccia.
Noto un signore a spasso con un cane che cambia strada e si allontana.
Dove sono? Questi posti li ho già visti ma non li riconosco, quanto sarà trascorso dal mio rapimento?
Tutto è confuso.
Passa una quantità di tempo indefinita, devo procurarmi un orologio. Sono raccolto in questi pensieri quando i fari di una macchina squarciano il buio, la macchina mi passa davanti a velocità sostenuta, poi inchioda, ingrana la retro e si ferma davanti a me.
Mi allerto, dalla macchina scende un tizio curioso, sembra fatto con gli ingranaggi di un orologio, è tutto di ottone, completo di braccia, gambe e testa. Gli occhi sono le lenti di una macchina fotografica! Chi lo ha creato doveva avere un debole per Baum e il suo Meraviglioso Mondo di Oz.
Un momento, un orologio? Ma io stavo pensando ad un orologio! Mi hanno già ritrovato! Maledizione!
Mi preparo a richiamare l’oscurità e trasformo la mia mano in una lancia quando il curioso essere mi dice: “Fermo! Non ti spaventare!” – Trrrrrr – Tic – Trrrrrr – Tic – “Sono Ottone della Corte d’Inverno, sono qui per aiutarti e portarti in un posto sicuro” – Trrrrrr – Toc – Trrrrrr – Toc – “Presto sali in macchina, è meglio non stare troppo da queste parti!”
Mi guardo intorno. Sono indeciso. E’ vero che ho bisogno di risposte. Ma questo tizio mi lascia perplesso però da qualche parte bisogna pur iniziare. Non richiamo le ombre ma mantengo la mano a forma di lancia.
Salgo in macchina, una Mercedes con parecchi anni sulle ruote.
Riparte facendo fischiare le gomme.
Mi sembra incredibile che quella massa di ingranaggi e metallo possa stare nell’abitacolo e guidare così agevolmente. Lui comincia a parlare: “Ciao sono Ottone, lo so che ti sembra tutto pazzesco” – Trrrrrr – Trac – Trrrrrr – Toc – “fa la stessa impressione a tutti appena si arriva, alcuni non se ne fanno una ragione per molto tempo…” – Trrrrrr – Truc – Trrrrrr – Tac – “…altri mai. Ma avrai tempo di conoscere e capire”.
Ottone guida come un pazzo, la pioggia si fa più insistente e sferza il parabrezza. Io guardo fuori dal finestrino una città liquida che a tratti ricordo ma che fatico a riconoscere.
Ottone frena. Trrrrrr – Troc – Trrrrrr – Toc – “Siamo arrivati, scendiamo”.
Lo seguo, una veloce occhiata nei dintorni, cerco di ricordare la geografia di Torino, sono passati anni, tanti anni. Mi viene in aiuto Ottone che mi rivela essere dalle parti di corso Tortona, una zona vicino al Po, il condominio nel quale Ottone entra mostra di avere tremendamente bisogno di una ristrutturazione.
Saliamo, arrivati al quarto piano apre la porta di quella che assumo essere casa sua.
L’ingresso appare spoglio e, per usare un eufemismo, abbastanza disordinato, Ottone non deve essere tagliato per le faccende domestiche.
Mi fa segno di entrare nella sala e qui ci trovo altri due changeling.
Due esseri curiosi, più o meno quello che loro penseranno di me.
Sono una ragazza e un… un… un individuo molto grosso e tendente al blu.
Mi presento e scopro che la ragazza si chiama Elena dichiara di essere un’artista, gentile ma in un certo senso sembra, distaccata, lontana. E’ alta intorno al metro e settantacinque e mostra una pelle vagamente raggrinzita, ha un vestito che deve essere composto da pezzi di molti altri ma il risultato risulta comunque gradevole. Il suo movimento appare strano, poco fluido.
Il gigante blu, invece, dice di chiamarsi Marshmallow Zoran Parcovich ma noi possiamo chiamarlo Marshmallow, ci dice. Non sembra un uomo di molte parole. E’ alto oltre due metri con un corpo forte e muscoloso, un vero colosso, la sua pelle ha dei riflessi blu ed è vagamente traslucida, potrebbe quasi mostrare delle trasparenze in alcuni punti.
“Allora ragazzi, innanzitutto, benvenuti, siamo tutti felici che ce l’abbiate fatta!” Trrrrrr – Toc – Trrrrrr – Tac “Siamo in tanti qui e mi è stato dato il compito di accogliervi e di aiutarvi in questi primi momenti” Trrrrrr – Tic – Trrrrrr – Tac “Noi Changeling siamo organizzati in Corti, ce n’è una per stagione e sono…” Trrrrrr – Tac – Trrrrrr – Tac “la Corte d’Estate, la Corte d’Inverno, la Corte di Primavera e la Corte d’Autunno” Trrrrrr – T Trrrrrr – Trrrrrr – Tac “In questo momento Torino è governata dalla Corte d’Inverno”.
Sentendolo parlare mi chiedo quanto duri la carica e poi gli occhi! Ma riuscirà anche a fare lo zoom?
Ottone riprende: “E’ usanza che i nuovi vengano accolti da un componente della Corte reggente che li introduca” Trrrrrr – Trrrrrr – Tic “in modo che poi loro possano scegliere liberamente a quale Corte unirsi” Tic – Tic – Trrrrrr
Elena chiede se è obbligatorio unirsi ad una Corte.
L’uomo d’ottone, di nome e di fatto, risponde che no, non è obbligatorio ma, capiremo con il tempo, perché è utile e necessario. In quel momento squilla un cellulare. Tutti ci voltiamo.
Ottone si scusa e si allontana per rispondere.
Io e gli altri ci guardiamo con uno sguardo interrogativo.
Ottone sta parlando con qualcuno e, ad un tratto, esclama: “Ma non è regolare! Sono dei nuovi arrivati! E’ troppo rischioso, sia per loro sia per noi!” Trrrrrr – Tic – Trrrrrr – Tac “Ma siete sicuri?”
“Ok, va bene! Vedrò come organizzare la cosa”. Attacca il telefono e rimane immobile. Si sarà scaricato?
Torna da noi e ci dice che c’è stata un’emergenza e che quello che sta per dirci non è né usuale né divulgabile.
“Mi è stato chiesto di aiutarci a risolvere un problema, lo so siete nuovi, ma questo” Trrrrrr – Trrrrrr – Toc “è un fattore che vi dà un immenso vantaggio, un componente della Corte” Toc – Trrrrrr – Toc “d’Estate non dà più notizie di sé da diverso tempo, ci hanno chiesto di indagare.” Tac – Trrrrrr – Tic “Mi rendo conto che non sia una cosa semplice e nemmeno usuale. Accettate?”
Ci guardiamo nuovamente, il gigante blu fa spallucce, accettiamo.
Trrrrrr – Tic – Trrrrrr “Molto bene, allora vi dò alcuni dettagli e alcune cose che possono tornarvi utili”.
Ottone ci racconta che il Changeling scomparso si chiama Tuono, è un Elementale del fulmine, appartiene alla corte d’Estate e vive poco lontano su corso Francia. Pare che sia impossibilitato e bloccato in casa.
Chiediamo se conosce i motivi che lo tengono bloccato in casa, Ottone si ferma nuovamente in quella sorta di stand-by di poco fa e, dopo una serie di inquietanti rumori di molle e ruote meccaniche, incomincia a urlare in rapida successione:
“FORSE FATE”
“FORSE COLLABORATORI”
“FORSE GOBLIN”
“FORSE L’INQUISIZIONE UMANA”
“FORSE ALTRI”
Trrrrrr – Trrrrrr – Trrrrrr – Trrrrrr
Rimaniamo interdetti.
Ottone si riprende e si scusa per il suo comportamento ma a volte, ci dice, emozioni e meccanica non trovano la giusta sinesi.
Ci dà le chiavi della macchina che ha usato per portarci qui, prende un cellulare da un cassetto e mentre ce lo porge ci dice: “Il mio numero è memorizzato sotto Ottone”. Mi è parso che ci facesse l’occhiolino.
Ci accompagna alla porta e ci saluta.
Scendiamo in silenzio e ci troviamo di fronte alla vecchia Mercedes.
Siamo soli, in un nuovo capitolo della nostra vita, finalmente liberi.
Ora tocca a noi.
Saliamo in macchina, Marshmellow si mette alla guida, nel buio della notte ci dirigiamo dove ci ha detto il nostro ticchettante amico, verso la casa di Tuono. Il rumore dell’asfalto e la nebbia producono un effetto quasi surreale, per anni ho utilizzato cavalcature di tutti i tipi e ora, dopo poche ore, eccomi di nuovo su delle vere e proprie automobili.
Guardo i miei nuovi compagni di avventura, è venuto il momento di conoscerci meglio e condividere esperienze in Arcadia e talenti acquisiti .
Comincio io.
Racconto loro la mia storia, la mia famiglia di Torino, gli studi di psicologia e antropologia, il trasferimento a Londra, il dottorato poi, durante il capodanno a Cavour, un paese in provincia di Torino, il rapimento e il periodo passato in Arcadia come tutore del protetto di una fata, le difficoltà iniziali e la mia successiva amicizia con Areloth, i miei nuovi talenti.
“Hai fatto amicizia con uno di loro?” chiede Marshmallow “Curioso, per me è stato molto diverso. Quando mi hanno preso avevo 40 anni, lavoravo in una compagnia di assicurazioni, stava per finire il 1999”. Fa un pausa, si sente il motore dell’auto che produce un rumore inquietante. “Ero con degli amici in un pub, sono andato in bagno e poi ricordo solo che ero in Arcadia”.
Elena ci dice che dobbiamo svoltare al prossimo semaforo a destra.
“E’ stata la direttrice dell’istituto a rapirmi” riprende Marshmallow, sembrava Mary Poppins, ve la ricordate la protagonista di quel film della Disney? Ecco, ora immaginatela con una bocca molto più larga e gli occhi rosso scuro. Mi ha trascinato nella Siepe. Ricordo ancora i tagli e le ferite!” Frena, siamo fermi al semaforo.
Gira a destra e ricomincia a parlare.
“L’istituto era enorme, bello ma tetro e decadente, mi disse che c’era bisogno di mantenere l’ordine e che i ragazzi erano molto, troppo vivaci. C’era bisogno di qualcuno che incarni il gelo, la fredda disciplina, il ghiaccio che si appiccica ai muri antichi e poi mi ha modificato”. Pare che sia entrato in una sorta di trance.
“I bambini erano terrorizzati, congelavano e piangevano, io ero il gelo, urlavano ma nessuno moriva, anche quando arrivavano i cani, nessuno moriva, continuavano a soffrire e urlare, fino a quando la Fata non diceva che potevano rientrare. Era incredibilmente crudele…”. Il racconto viene interrotto dall’urlo di Elena dal sedile posteriore: “Frena!”
Marshmallow, come ridestatosi, schiaccia il freno e la macchina inchioda e si spegne. Io ho fatto giusto in tempo a tenermi altrimenti ora sarei un grumo rosso sull’asfalto con alcuni vetri conficcati.
Una muta di cani attraversa la strada, uno si ferma a guardarci.
Un lungo silenzio ci tiene compagnia fino a quando, il gigante blu, con qualche fatica, riaccende la macchina.
“Scusate” ci dice.
“Suppongo che ora tocchi a me!” annuncia Elena.
“Io ero un’artista, una scultrice… scultrice di materiali naturali e di riciclo, non ho avuto molta fortuna, almeno fino a quando non ho incontrato un gallerista che mi ha notato e mi ha fatto fare le mia prima mostra. Tutto è cambiato! La mia vita ce è stata travolta! La fama! Il successo! E poi, un giorno, durante una mostra delle sue opere tutto e accaduto”.
Si interrompe, “Ancora due semafori poi mettiti nel controviale e parcheggia” dice a Marshmallow.
“Era una sera” ricomincia “la mostra avrebbe aperto i battenti il giorno successivo. E c’era questa donna vestita in abiti molto austeri che si aggirava per le sale deserte. Mi chiese se ero io l’autrice e mi disse che lei era la direttrice di una scuola e le avrebbe fatto molto piacere avermi come insegnante di arte”.
“Poi è accaduta una cosa strana” continua Elena “Si è avvicinata ad un mio quadro e, con mio grande orrore, ha strappato un pezzo di canapa, poi si è avvicinata un dito alla bocca facendomi segno di non parlare. Si è inginocchiata vicino a me e ha strappato un pezzo della mia ombra!”
Marshmallow frena. “Siamo arrivati” ci dice, ma restiamo tutti in macchina a fissare Elena.
“Ha messo insieme la canapa e la mia ombra” riprende Elena “e ho visto sorgere, da quei due elementi un essere molto simile a me, aveva anche i miei vestiti. A quel punto mi ha preso la mano e siamo spariti lasciando lì quella strana bambola che mi somigliava”.
“Gli anni passati in Arcadia li ho trascorsi insegnando a ragazzi terrorizzati e torturati” conclude.
“Sai” dice rivolta a Marshmallow “incomincio a pensare che fossimo relegati nello stesso istituto”.
Stiamo scendendo dall’auto quando Elena proferisce: “ovviamente ci sono state le torture e i patimenti per farmi diventare quella che sono ora ma li ho tralasciati, immagino le abbiate conosciute anche voi”.
Abbiamo parcheggiato la macchina a qualche isolato di distanza per non dare nell’occhio.
Risalendo per corso Francia notiamo, di fronte alla torre che dovrebbe ospitare l’appartamento di Tuono, un bar ancora aperto che diffonde una tenue luce sul marciapiede e una fermata dell’autobus sotto il palazzo.
Siamo ancora distanti da entrambi e, procedendo sulla strada, non possiamo fare e meno di notare lo stato di degrado della zona, sporcizia ovunque, cani randagi che si muovono in gruppo, alcune macchine sono state bruciate e ci sono diversi ubriachi e tossici in giro.
Ci avviciniamo e osserviamo il palazzo, dall’altra parte della strada, che dovrebbe ospitare l’appartamento del nostro obiettivo, è un edificio di 10 piani, Tuono abita al terzo.
Davanti al palazzo c’è una pensilina con, sdraiato dentro, un barbone.
Vediamo due donne uscire dal palazzo e lamentarsi a voce molto alta dello stato del palazzo e del decoro del quartiere poi vedono il barbone alla pensilina si stringono nei cappotti e accelerano il passo.
Ci dividiamo Io e Marshmallow andiamo verso il bar, Elena si dirige verso la pensilina. Mentre camminiamo ho un flash siamo io e Areloth, in missione, e decidiamo di dividerci per affrontare due sgherri in modo che questi non potessero dare l’allarme, ne siamo usciti, ma non bene. Scuoto la testa, questi ricordi improvvisi mi confondono.
Entriamo nel bar che scopriamo chiamarsi Mario, la vista dell’ambiente è abbastanza sconfortante. Poster in parte staccati in parte strappati alle pareti, tavoli di un’età che non può essere definita antica ma solo vecchia e cadente, sporcizia ovunque. Poi ci sono gli ospiti del bar. Un ubriaco che sbava sul tavolo con gli occhi riversi e il bicchiere di liquore ancora mezzo pieno, un barbone in fondo vicino al bagno e un tizio con un camice macchiato e i capelli unti dietro al bancone che supponiamo essere Mario. Al nostro ingresso siamo degnati di uno sguardo stanco dagli ultimi due.
Ci avviciniamo al bancone, chiediamo da bere, due birre, il barista Mario grugnisce qualcosa e si volta. Ci mette le birre davanti e gli chiediamo se conosce un certo Tuono, che siamo dei suoi amici recentemente rientrati a Torino ma non ci ricordiamo in quale civico abiti.
“Non conosco nessuno Tuono e neanche nessun Fulmine” è la sua rapida risposta biascicata.
Mentre beviamo le birre noto con la coda dell’occhio il barbone che viene verso di noi, ha una pelle simile a quella di Elena ma, nel suo caso, faccia e mani sono coperte di piaghe e pus, nel complesso non una bella visione. Il cappotto che porta presenta un chiaro rigonfiamento sulla tasca destra dalla quale mi pare di cogliere l’impugnatura di una pistola. Nel momento in cui ci passa vicino sentiamo una sensazione di calore provenire dalle nostre schiene, come se ci fosse passato dietro una di quelle macchine che scaldano il bitume.
Ci supera sbatte sul tavolo sul quale è sdraiato l’ubriaco, barcolla fino alla porta e poi, non senza qualche difficoltà, esce.
Marshmallow incrocia il mio sguardo e ci catapultiamo fuori. Il barbone è sparito!
Rientriamo nel bar e chiediamo al barista se conosceva il tizio appena uscito, e la sua risposta è: “Uno schifoso barbone come tutti gli altri, entrano, pisciano nel mio bagno e poi se ne vanno. Perché mai vi interessa? Volete dargli fuoco come a quello di ieri? Sono rifiuti fanno schifo pure quando bruciano, probabilmente rilasciano sostanze tossiche”. E se ne va.
Il barbone era uno di noi. Sarà stato della Corte d’Estate pure lui?
Usciamo dal bar e raggiungiamo Elena, il barbone presente alla fermata non ha niente di particolare a parte l’aria derelitta e una montagna di indumenti cenciosi addosso ma lui, aiutato da qualche euro, conosce Tuono! Gli diciamo che siamo suoi amici e che siamo preoccupati perché da ieri non dà sue notizie. Lui ci guarda con i suoi occhi acquosi e, attraverso il suo fiato che sa di fogna, ci dice che lui Tuono lo ha visto due giorni prima e stava benissimo.
Ci dirigiamo verso il palazzo in cui risiede Tuono, dopo una veloce chiacchierata decidiamo che io posso prendere le fattezze di Tuono così se c’è qualche vicino curioso posso sempre farmi passare per lui o per suo fratello. Entriamo.
Il palazzo mostra chiaramente la necessità di un serio intervento di pulizia. La cosa curiosa è che, oltre allo sporco si notano delle strane ramificazioni d’edera dentro alla tromba delle scale.
Strane abitudini hanno questi condomini.
Lasciamo perdere l’ascensore, saliamo le scale e arriviamo al terzo piano, qui l’edera si intensifica.
Arrivati di fronte all’appartamento di Tuono è ormai evidente che la fonte delle ramificazioni di edera è proprio l’appartamento di Tuono.
Bussiamo. Bussiamo di nuovo. Appoggiamo l’orecchio alla porta.
Niente.
Ci guardiamo, proviamo ad aprire la porta ma è saldamente chiusa, proviamo a spingere e tirare, ma non si muove.
“E se chiamassimo i vigili del fuoco?” propongo “Diciamo che un nostro amico è chiuso dentro e non risponde”.
Elena e Marshmallow mi fissano.
“In fondo non è neanche troppo distante dalla realtà” continuo “anzi, sembrerebbe proprio la descrizione di quello che sta accadendo, se escludiamo la questione relativa al nostro amico”.
Si convincono e Elena chiama i vigili del fuoco.
“Mandiamo subito una squadra” riferisce l’operatrice.
Chiudiamo il telefono e sentiamo dei passi venire su per le scale, dico ai miei compagni di avvicinarsi, saliamo nell’interpiano e richiamo l’oscurità.
Qualcuno sta salendo le scale e, arrivato al terzo piano si ferma.
Elena si sporge e ci sussurra che, di fronte alla porta del “nostro amico” c’è un tipo con un aspetto orribile che sembra uscito da un ospedale che tratta malattie infettive.
Con molta attenzione ci sporgiamo sia io sia Marshmallow.
E’ il barbone che abbiamo incontrato nel bar, non c’è alcun dubbio!
E’ di fronte alla porta di Tuono, mette le mani in tasca, sta cercando qualcosa, poi la trova.
E’ la chiave della porta!
In quello che ci sembra un momento lunghissimo lui inserisce la chiave nella serratura e, in lontananza, sentiamo delle sirene che pensiamo essere quelle dei pompieri.
Il nostro piano, improvvisamente, rivela qualche “piccola” crepa.