Primo Episodio
Feste pericolose
Alexis racconta:
Sono passai più o meno due mesi dagli ultimi accadimenti e dal nostro “ritorno”.
Il freddo di fine gennaio ci avvolge come un manto ma, per lo meno, ha smesso di piovere.
Io, Marshmallow ed Elena condividiamo un appartamento che Ottone ci ha messo a disposizione come ringraziamento da parte della Coorte d’Inverno per i nostri sevizi.
Già! I nostri servizi! Le nostre indagini hanno sollevato un bel polverone. Più un terremoto in effetti.
Ottone ci ha detto che tutti sono rimasti impressionati dalla nostra efficienza e velocità e che presto ci avrebbe ricontattato.
Questi due mesi non sono stati facili, le feste, i ricordi, la tentazione di tornare in luoghi conosciuti, di vedere persone smarrite da tempo.
Ci siamo fatti forza l’un l’altro, abbiamo cercato di resistere. Sapevamo che non era una buona idea.
Il tempo passato insieme ci ha permesso di scoprire le rispettive esperienze al di là della Siepe.
Le loro vicissitudini e i loro carcerieri erano diversi da quelli che avevo incontrato io. Non saprei dire se in meglio o in peggio ma, la sera, raccontarci le nostre storie, sono sicuro, ci ha aiutato moltissimo.
La storia di Marshmallow
Ricorda di essere stato rapito intorno ai 40 anni, era un impiegato in una compagnia di assicurazioni e, in quei giorni, era molto impegnato nelle procedure per la gestione del passaggio al nuovo millennio.
“Le procedure che dovevano evitare il crollo del mondo come lo conoscevamo” dice ridendo.
Aveva lavorato fino alle dieci di sera poi, quando si era già rassegnato a passare un capodanno da solo a casa, il suo cellulare era squillato.
Ricorda di aver aspettato a rispondere, come se stesse soppesando la cosa.
Poi si decise e rispose.
Alcuni amici lo avevano invitato ad unirsi a lui per una serata in un locale di Torino.
Curiose strade prende il destino!
Il locale era pieno di gente, il rumore era altissimo e forse lui, in un impulso automatico dettato dalla festa di fine anno, aveva sottovalutato la sua stanchezza.
La testa aveva cominciato a fargli male poco dopo essere entrato nel locale e, per sfuggire al rumore cacofonico del locale, si era rintanato nel bagno.
Ricorda di aver pensato, sentendo la musica filtrare dalla porta, “Bel modo di passare la fine di un milleninio”.
Poi più nulla.
Poi tutto è cambiato.
Ha brandelli di ricordi, lei si chiamava, o si faceva chiamare la Direttrice.
Quando ce la descrive ci dice che gli ricordava Mary Poppins.
Una Mary Poppins terrificante, diabolica e con una forza mostruosa che le permetteva di trascinarlo dietro a lei.
Ricorda di essere stato meravigliato di vedere come lei riuscisse a passare apparentemente illesa attraverso i rovi di quella che poi avrebbe imparato a chiamare la Siepe, mentre lui si copriva di profondi tagli ovunque.
Il viaggio si è concluso di fronte alle imponenti porte di quella che sembrava un’enorme scuola.
La fata lo ha portato in una stanza e gli ha detto che aveva bisogno di qualcuno che incarnasse il gelo che urla, la brina che si forma su muri di stanze abbandonate, il vento che taglia le ossa.
Ricorda il dolore mentre lei recitava le sue strane litanie.
Ha bene in mente le sofferenze che era obbligato a infliggere ai bambini della scuola.
I bambini disobbedienti venivano portati nella zona in cui lui era confinato e prima erano tormentati dal gelo che lui produceva, poi era la volta dei cani affamati.
La cosa che lui non riusciva a capire però era che, misteriosamente, i bambini, anche se malconci, riuscissero a sopravvivere.
Molti bambini infatti li aveva visti più volte.
La punizione continuava fino a che la fata non decideva che era ora di tornare a scuola.
La storia di Elena
Elena ci racconta di come lei sia sempre stata attratta dall’arte, l’arte in tutte le sue forme ma la scultura e l’utilizzo di materiali naturali e di riciclo era la sua specialità.
Ricorda di aver fatto largo uso ci capsule del caffè, così come di pietre e tappi si sughero.
Tutti i suoi amici erano impressionati dalle sue opere e le facevano molti complimenti ma, i complimenti, da soli, non aiutavano ad arrivare a fine mese.
Il successo o anche la sola autonomia finanziaria stentavano ad arrivare e lei stava cominciando a deprimersi.
L’incontro con quello strano tipo dalla bassa statura e dagli occhi tondi e scuri l’aveva colta di sorpresa.
Lui apprezzava molto le sue creazioni e le aveva proposto addirittura una mostra personale!
La sua vita era improvvisamente cambiata. La prima della mostra le erra sembrata un sogno.
Tutte le sue opere esposte, le sale ancora vuote prima dell’ingresso dei visitatori.
Poi, improvvisamente, con la coda dell’occhio, nota un movimento vicino ad una sua scultura.
Si volta e vede una donna che si aggira per la stanza rimirando con attenzione il frutto del suo lavoro.
La osserva, non capisce da dove sia entrata, “Sarà un amica del gallerista” si dice.
E’ quindi molto contenta e inorgoglita quando donna le si rivolge chiedendole se è lei l’autrice.
Si dice molto interessata alla sua arte e le dice che le piacerebbe molto averla alla sua scuola come insegnante.
Non era ancora iniziata la mostra e già avevo ricevuto un’offerta! E di insegnamento poi! Mi sembrava tutto incredibile.
Ma dov’era finito il gallerista?
Poi tutto è diventato confuso, allucinato.
Rammenta di aver visto la donna strappare un pezzo di canapa dalla sua opera.
Ricorda il suo orrore e la calma di lei, mentre, posandosi un dito sulla bocca, le fa segno di non far rumore.
La segue con lo sguardo, atterrita mentre lei le si avvicina, la supera, si accovaccia e, sotto i suoi occhi stupefatti, solleva un lembo dell’ombra di Elena prodotta dai neon.
Lo strappa!
Elena sente un dolore lancinante alla testa.
La strana donna unisce il pezzo di ombra al pezzo di canapa e incomincia a recitare alcune parole in una strana lingua che lei non riesce a riconoscere.
Vede sorgere, dall’ombra e dal canapa una figura che, lentamente, prende delle fattezze che le sono molto familiari.
Elena stava fissando un’altra sé.
Improvvisamente Elena, che pensa di essere immobilizzata dallo shock, sente che la donna afferra il suo braccio e la porta via.
Ormai tutto aveva perso di senso, ci dice, anche quando dal nulla è apparsa la Siepe davanti a noi, io avevo staccato dalla razionalità, era come se le informazioni venissero registrate dal cervello senza nessuna considerazione valoriale o di ricerca di significato.
Era come passarci attraverso come se fossimo fantasmi, ricordo di aver pensato di essere morta.
Quando è riemersa dalle nubi dell’incubo si è trovata in una stanza riccamente adornata.
Qualcuno l’aveva posata su una poltrona che le sembrava tirata fuori dall’ottocento.
La fata era davanti a lei.
“Tu da oggi ti occuperai dei ragazzi della scuola, qualunque problema dovessi avere con loro fammelo sapere immediatamente”
La sua voce non ammetteva repliche e, in ogni caso, Elena aveva la sensazione che le avessero cucito le labbra, letteralmente.
“A poco a poco ti accorgerai delle migliorie che ti sono state regalate e imparerai ad usarle, col tempo”
Poi cominciò ad insegnare a quegli strani ragazzi dalle pupille inquietanti.
Insegnare arte le piaceva a tal punto che, quando lo faceva, le sembrava di essere portata in una altro meraviglioso luogo.
La fine della lezione era un doloroso ritorno alla realtà da incubo in cui era stata imprigionata.
Occasionalmente, all’inizio, aveva segnalato alcuni studenti troppo vivaci alla Direttrice.
Poi, avendo capito le tremende torture a cui erano sottoposti, aveva cercato di evitarlo il più possibile.
Il mio racconto
Oggi mi chiamo Alexis Noumen ma ricordo che un tempo il mio nome era Alexander Tempidea
Sono sicuro di essere nato a Torino intorno al 1983 ma ho ricordi abbastanza confusi relativamente alla mia famiglia e alla mia abitazione.
So di essermi trasferito a Londra in seguito ai miei studi psicologici, non ricordo se ho conseguito una Laurea o un Dottorato ma sono abbastanza sicuro almeno della prima.
Mi pare, ma i ricordi sono molto sbiaditi, che, all’epoca del rapimento avessi circa 27 anni.
Erano stati anni faticosi, molte ricerche in terra di Albione su popolazioni rimaste chiuse al mondo e sulle dinamiche sviluppate al loro interno.
Ricordo che ero tornato in Italia per passare il capodanno con alcuni amici a Cavour, molte persone, molto da mangiare.
Ad un certo punto della serata sono stato avvicinato da una coppia che pensavo essere amici del padrone di casa.
Una donna molto bella con gli occhi di un azzurro glaciale ed un compagno albino .
Abbiamo iniziato a parlare, mi hanno chiesto dei miei studi e sono stati molto interessati all’approccio Sistemico-Complesso, all’autopoiesi e alle teorie de caos.
Mi hanno fatto moltissime domande e, mentre parlavo, mi pareva che intorno a noi la realtà stesse sfumando.
“Avrò esagerato con gli alcolici, chissà cosa sto dicendo a questi due?” mi sono detto.
Poi devo essere svenuto.
Mi sono svegliato all’interno di una stanza che sembrava fatta di cristallo opaco.
La stanza, che era decisamente grande, conteneva un letto, una scrivania, un armadio, un divano e un tavolino basso sotto il quale era presente un tappeto.
Una finestra e due porte.
Una porta conduceva ad un ampio bagno, l’altra porta e la finestra erano chiuse.
Qualche ora dopo il mio risveglio il maschio della coppia è entrato dalla porta chiusa, si è seduto sul divano e mi ha detto che i miei pattern mentali erano compatibili con quelli di Areloth e quindi loro avevano deciso che io sarei stato il suo tutore.
Il suo modo di parlare era gelido, non traspariva nessuna emozione. Finito il discorso è uscito e ha richiuso la porta senza dirmi altro.
Allora non avevo la minima idea di cosa stesse dicendo, di dove fossi finito, di chi diavolo fossero loro.
Ma ho avuto tempo di aver le risposte a tutte quelle domande e a molte altre.
Ricordo lo shock quando, rimasto solo, sono andato in bagno, avevo una forte nausea e pensavo fosse utile avere una tazza nelle immediate vicinanze.
Sono passato vicino allo specchio e ho notato uno strano riflesso. Mi sono voltato lentamente e la visione del mio volo mi ha fatto cadere in ginocchio.
La mia faccia era ricoperta completamente da una superficie a specchio vagamente curva, il tempo mi fece individuare altre modifiche.
Areloth scoprii essere un giovane dall’aspetto molto curioso (vagamente sfocato) ma dal carattere introverso e schivo, talmente spaventato che, all’inizio credetti che fosse addirittura muto e sospettavo anche sordo.
Capii di essere finito in un luogo di nome Arcadia popolato da creature che erano le protagoniste dei miei racconti della buona notte di quando ero piccolo.
Solo che queste non erano buone, non erano neanche passabili, erano proprio degli stronzi proverbiali.
Ho avuto tempo per capire dove mi trovavo e come mi avevano mutato perchè, anche se oggi penso di avere circa 30 anni, credo di aver passato in Arcadia almeno 25-30 anni.
A mano a mano che il mio rapporto tutore-allievo evolveva, venni a sapere che Areloth era il figlio della Fata ma non dell’albino che, per lui, era quello che noi chiameremmo patrigno.
I genitori di Areloth erano esseri molto altezzosi, pericolosi, crudeli non solo con me ma anche con Areloth, soprattutto l’albino.
Il mutismo di Areloth, in realtà, non dipendeva da timidezza ma era una specie di processo evolutivo prima dello sviluppo della voce (essenzialmente un canto).
Successivamente alla comparsa della voce il nostro rapporto ebbe un’ulteriore evoluzione in una sorta di amicizia-complicità.
Il percorso fatto insieme mi ha chiarito anche che le “modifiche” che mi avevano fatto erano per meglio aiutare Areloth.
Io e Areloth abbiamo convissuto per molto tempo e, quando è venuto per lui, il momento di essere introdotto alla vita adulta, il mio compito è stato quello di accompagnarlo nelle varie missioni che gli venivano affidate.
Ho vissuto molte avventure con Areloth, alcune rischiose altre divertenti e questo ci ha permesso di rinnovare il legame un tempo nato come rapporto docente-studente. E’ anche grazie a lui se oggi sono qui, ma questa, come si dice, è un’altra storia.
Ognuno dei racconti ha rivelato la crudeltà di coloro che ci hanno rapito e ci ha permesso di condividere il nostro comune tragico destino.
Ora siamo ritornati ma siamo diversi e, cercare di ricominciare la nostra vita dove siamo stati interrotti, non può portare che alta sofferenza.
Le giornate si succedono stancamente senza che accada nulla di particolare, riprendiamo le forze mentre la crisi in cui è avvolta la città sembra non dare tregua e giungono informazioni di persone assalite da branchi di cani abbandonati.
Questo pare essere l’inverno più freddo da anni, o almeno così continua a ripetere la televisione.
Il gelo e la mancanza di vento stringono in una morsa di smog la città.
Poi un giorno Ottone ci chiama per invitarci alla grande festa della Coorte d’Inverno.
Ci dice che la festa si terrà nella chiesa di S. Pietro in vincoli la sera successiva e che in molti sono curiosi di fare la nostra conoscenza.
Arriviamo che la festa è agli inizi.
La chiesa è stata letteralmente coperta da arazzi che rappresentano scene invernali, dove non ci sono gli arazzi è possibile scorgere lapidi e vasi di fiori.
La sala è gremita, ci sono changeling ovunque.
Sentiamo provenire, dall’abside, un canto sublime , è prodotto da una donna particolarmente “legnosa”.
Notiamo Ottone che ci fa un segno con la mano e, mentre andiamo verso di lui, ci è impossibile non notare un fauno e una donna con la testa di cavallo, in un angolo che copulano furiosamente.
In mezzo a tutti una bizzarra coppia formata da un possente uomo con una folta barba bianca e cappotto riccamente adornato e una donna che sembra vestita a lutto con velo nero sula faccia e numerose ragnatele sono al centro dell’attenzione.
Scopriamo da Ottone di trattarsi del Re d’Inverno e di Senet della Coorte di Primavera.
La donna si avvicina ad Ottone, si alza il velo e ci saluta.
E’ molto bella, ha una pelle azzurra, è molto amichevole e le ragnatele le si rigenerano di continuo.
Si rivela molto interessata all’arte e ci chiede se abbiamo già scelto una Coorte a cui affiliarci. Vedendo le nostre facce interrogative, rivolge ad Ottone uno sguardo di allegro rimprovero e si offre disponibile per spiegarci la cosa.
La Coorte di Primavera si trova in un locale del Quadrilatero chiamato Minnie the Mutcher e lei ci invita ad andarli a trovare.
Loro sono della Coorte del desiderio, ci dice, ricercano il piacere, la soddisfazione della curiosità e rifiutano l’idea di vivere nel tormento per quello che gli è accaduto.
Mentre lei ci parla delle altre Coorti (e, anche se un po’ di parte, ci descrive l’Estate come rancorosa, l’Inverno come quelli che si nascondono e l’Autunno che si concentra sulla paura) noto Ottone che va a conferire con Padre Inverno.
Improvvisamente le porte della chiesa vengono aperte, entra un vento gelido tutti si voltano e scende un silenzio irreale.
Fa il suo ingresso scenico un energumeno di mezz’età coperto di venature bluastre, con profondi occhi neri e coperto da un lungo cappotto blu.
E’ accompagnato da due bambine chiaramente gemelle.
Una volta assicuratosi l’attenzione di tutti incomincia ad urlare che le Coorti non hanno più senso perché hanno stretto patti con le fate, che le Coorti sono solo un gruppo di traditori.
Il tizio, ci dice Senet, si chiama Cuore Ardente ed è, evidentemente, una testa calda.
La risposta non si fa attendere e si scatena un putiferio!
Una donna molto bella in completo di pelle da motociclista (si fa chiamare lo Spirito della Vittoria) gli si para davanti e gli urla in faccia che per dimostrare la fedeltà della Coorte d’Estate andrà ad uccidere i goblin che hanno contribuito al tradimento.
Ma Cuore Ardente non sembra soddisfatto e grida alla folla se c’è qualcuno che vuole unirsi a lui contro le Coorti.
Cala nuovamente un silenzio nervoso nel quale però si possono scorgere sommessi mormorii.
Detto questo lui e le gemelle, si girano ed escono.
Senet ci dice che Cuore Ardente faceva parte della Coorte d’Estate ma, di recente, se n’è andato.
Così come le gemelle.
E’ tornato Ottone e chiede a Senet se ci può parlare in privato.
Senet si congeda ma non prima di averci scherzosamente apostrofati con un: “Uhu! Nuovamente in missione per sua maestà Padre Inverno!”
Mentre va via mi accorgo che il suo aspetto stride pesantemente con il suo aspetto creando un effetto decisamente spiazzante nell’interlocutore.
Ottone ci guida nella sagrestia, pare che dei poliziotti umani, che hanno fatto un giuramento con i Changeling, lo abbiano chiamato riferendogli di una strana aggressione ad una festa di ragazzi della Torino bene.
Una villa in collina è stato il teatro di una strage: sei corpi avvelenati presentano segni di morsi e sono imbozzolati in fitte ragnatele.
Lui ci dice che potrebbero essere stati degli Hobgoblin generati dalla paura e usciti dalla Siepe ma alcune cose no lo convincono a partire dalle ragnatele. Ci chiede di andare a dare un’occhiata.
Pendiamo la macchina e ci dirigiamo in collina.
Addio festa.
Arrivati sul posto indicatoci, parcheggiamo un po’ distante e usciamo guardandoci intorno.
Il posto è pieno di polizia.
Entriamo dal giardino per non farci notare e vediamo che, in lontananza ma sempre nel giardino, due ragazzi con pelle livida sui 10 anni accompagnati da un elementale del gelo che sembra essere il capo.
Dalla parte opposta notiamo Vittoria che ci ha preceduti e, brandendo una grande spada, sta cercando di entrare nella casa piena di poliziotti.
Marshmallow fa un contratto con i cani randagi e prende il loro olfatto. Questo gli permette di sentire che lì c’è stata la presenza di una specie di aracnide che pare provenire da Arcadia.
L’elementale e i due ragazzi hanno lo stesso odore ma si sono occultati nelle tenebre.
Si sentono improvvisamente delle urla e chiari rumori di violente colluttazioni. Improvvisamente tornano visibili i ragazzi, l’elementale e Vittoria che li ha attaccati.
Vittoria è ferita e sanguina copiosamente.
Elena si mette all’inseguimento dei due ragazzi, io la raggiungo e ci avviciniamo silenziosamente. Ci sono solo uno dei due ragazzini e l’elementale.
“Non ci aspettavamo di trovare qualcuno! Secondo te ci stavano aspettando?” sta dicendo l’elementale ad uno dei due bambini.
“No, non credo, sarebbero stati molti di più, ma dobbiamo trovarlo prima che lo trovino altri!” risponde il ragazzo.
L’elementale è molto deferente nei suoi confronti.
Entrano nella Siepe.
Torniamo indietro e ritorniamo nel giardino della villa. Notiamo una porta vetri sfondata ma verso l’esterno.
Parecchio sangue esce dalla casa lo seguiamo e troviamo uno dei due bambini dalla pelle livida trafitto dalla spada di Vittoria. La lama lo ha trapassato e si è conficcata su un pesante armadio di legno.
L’effetto finale è abbastanza raccapricciante, il bambino risulta impalato.
Sul pavimento ci sono i corpi di due poliziotti congelati, questo non può che essere stato l’elementale.
Controlliamo l’interno della casa, non si sente nessun rumore e non c’è traccia di altri agenti.
Tutto e molto spettrale, gli unici rumori provengono da uno stereo: musica pop.
Fa effetto pensare alla festa che abbiamo appena lasciato.
Il combattimento e qualsiasi altra cosa accaduta qua dentro ha provocato una vasta distruzione ma scopriamo che il ragno pare sia uscito da uno sgabuzzino situato sotto le scale che portano al piano superiore.
Da qui cominciano le tracce di ragnatele.
Il ragno, sempre ammesso che fosse un ragno, ha poi sfondato la porta ed è uscito.
Prima dello scontro con Vittoria scopriamo che l’elementale ed il suo seguito hanno avuto il tempo di congelare altre sei persone: due poliziotti e quattro infermieri.
Questo porta il totale delle vittime da congelamento a otto.